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Comune di San Vito Romano

Storia (conoscere le origini)

Trovandosi Santo Vito nella sommità di un’alta collina ridente – scriveva il prete secolare Giuseppe De’ Sallusti nel 1853 – ove respirasi, un’aria balsamica in un temperamento di atmosfera piacevole, il paese é conosciuto come la Svizzera del Lazio per le bellezze naturali e per i colori che ne caratterizzano le stagioni.

Ad una quarantina di chilometri ad Est di Roma, nel comprensorio dei monti Prenestini, San Vito assunse la denominazione di Romano con Regio Decreto del 16 maggio 1872.

La storia dell’abitato si può suddividere in diverse fasi: una prima relativa alle origini, ancora oggetto di studi, a seguire il passaggio dalla tutela sublacense alla nobile famiglia Colonna, poi ancora l’acquisto da parte dei Theodoli e lo sviluppo urbanistico seicentesco del quale furono promotori, ed infine l’ampliamento tra Ottocento e Novecento.

Datare le origini dei primi insediamenti è questione non facile ed ancora oggetto di studi. Per certo del Castrum Sancti Viti si trova traccia nel Regesto Sublacense del 1085, che attesta la donazione di alcune terre dal Signore di Paliano al Monastero di Subiaco. I monaci sublacensi, in modo analogo ad alcuni centri vicini, ebbero tutela sull’abitato fino al 1180, quando il castrum, appunto, divenne proprietà dei Colonna. Questi ampliarono il castello, allora una fortezza, e fortificarono l’area intorno. Il casato fu tuttavia costretto a vendere il feudo ai Massimo che intorno al 1575 lo cedettero alla nobile famiglia dei Theodoli, originaria di Forlì, ma già appartenente al patriziato romano.

Fu Gerolamo Theodoli, vescovo di Cadice, ad acquistare il feudo, assumendo su di sé il titolo di Conte di Ciciliano e Signore di San Vito e Pisoniano. Il primo Marchese di San Vito, nel 1592, fu Teodolo Theodoli, come suggerisce l’iscrizione sulle pareti dell’antica cappella del palazzo. La Famiglia intervenne in modo determinante nella struttura urbanistica dei territori marchionali, grazie al Cardinale Mario Theodoli, che si fece promotore di un primo programma di sviluppo. Tuttavia Egli morì prematuramente nel 1650, prima ancora che fossero compiuti i lavori di apertura del borgo, della Chiesa dei Santi Sebastiano e San Rocco e dell’adiacente Convento dei Carmelitani, oggi sede del Municipio. Carlo, che raccolse l’eredità, insieme a suo figlio Gerolamo, valente architetto del diciottesimo secolo, si fece continuatore dell’opera di Mario, suo zio paterno, dal quale il borgo stesso prese il nome. Furono dunque i Theodoli a dare pregio all’abitato anche attraverso continui interventi di valorizzazione artistica ed architettonica delle chiese: in tutte, ad eccezione del Santuario della Madonnina di Compigliano, che sorge fuori dal fulcro storico, si riconosce lo stemma del casato negli elementi decorativi.

 

Fu con Teodolo, inoltre, che intorno al 1648, giunse in San Vito Mattia Baccelli: egli, nato da una famiglia di banchieri fiorentini, originaria di Firenze Peretola, venne condotto nelle proprietà marchionali come amministratore patrimoniale. Mattia nel 1677 sposò in terze nozze la sanvitese Faustina Ronci e fu avo del ministro e medico Guido Baccelli, che nel suo appartamento di San Vito amava riposarsi dagli impegni politici ed accademici. Intorno alla due famiglie si venne presto a creare un nucleo di prestigiosi rapporti politici e amichevoli, grazie anche alla presenza dei Castellini, con il notaio Paolo, che nel 1929 elaborò il Concordato tra Stato e Chiesa, degli Ivella, con il Sindaco Sisto ed il farmacista Domenico, ed ancora dei Viscogliosi – Baccelli, che si imparentarono col ministro Alfredo Rocco.

Famiglie, queste, che hanno fatto di San Vito la piccola svizzera del Lazio e che per tutto il Novecento hanno arricchito il territorio di personalità d’eccellenza.

Lo sviluppo urbanistico:

Al centro dell’attuale struttura urbanistica, il Monte di San Vito, dove sorge la Chiesa dedicata al Patrono, è una delle zone più alte dalla quale si può godere di una particolare angolazione del Castello Theodoli, che ne esalta la caratteristica forma a nave, voluta dal Marchese Carlo. Il paese ha dunque un aspetto particolare: sviluppandosi su più Colli, come il Monte San Vito, il Colle di Compigliano, la Torricella e Le Cese, racchiude al centro un borgo ricco di vicende storiche e che ne hanno segnato la realizzazione ed i successivi interventi. Sviluppatosi secondo il modello dell’incastellamento, San Vito si estende su due centri urbani: quello medievale, al di sotto del Castello, detto nnabballe, caratterizzato dalle arenarie affioranti, dalle suggestive logge, dalla chiesa di San Biagio, fino a chiudersi con la porta della Mola e con porta Olevano, e quello seicentesco, detto nnammonte, che dalla porta a principio del borgo Mario Theodoli risale l’abitato fino a snodarsi nei due rami della provinciale Empolitana, l’uno verso Genazzano e l’altro verso Pisoniano. Entrambe le diramazioni sono ricche di punti panoramici: dal Belvedere Angelo De Paolis e dal Colle di Compigliano si possono vedere due esatte metà del centro storico medievale, che si riversa sulla via di ponte Orsini e che vede il Castello in posizione dominante sull’abitato.

I Colonna, divenuti Signori di San Vito nel 1180 circa, ampliarono il Castello ed iniziarono la sistemazione del paese, continuata dapprima dai Theodoli e poi dalle amministrazioni che seguirono l’unità d’Italia e che vollero dotarlo di un primo acquedotto per le fontane interne, di un cimitero che rispondesse alla normative allora vigenti, e di un decoroso sistema di strade interne. Quest’ultima fase è stata oggetto di recenti studi (Irene Quaresima, Terra, 2015) che hanno contestualizzato l’attuale conformazione territoriale a partire da un piano organico di lavori pubblici realizzati tra il 1867 ed il 1871.

Una celebre figura della famiglia Colonna fu Marcantonio che nel 1563, per delicate questioni familiari, fu costretto a vendere i territori di San Vito alla famiglia dei Massimo. Questi, a loro volta, li cedettero tra il 1572 ed 1575 ai Theodoli, che ancora oggi sono proprietari del Castello. Il nome che spesso ricorre nella memoria cittadina è quello del Cardinale Mario Theodoli, che a partire dal 1640 fece aprire il borgo: un asse rettilineo che si origina dalla porta del nucleo medievale, disposta ai piedi dell’antica rocca, oggi palazzo Theodoli (De Meo, 2003). L’iscrizione, sormontata dallo stemma Theodoli, posta all’angolo di piazza Augusto Baccelli celebra memoria di quel tracciato che in modo rettilineo risale l’abitato.

IL CARDINALE MARIO THEODOLI UGUAGLIO’ L’ASPREZZA DEI MONTI,

APRI’ LE VIE, ABBATTUTI I COLLI LI TRASFORMO’ IN CASE, VI ERESSE UN

TEMPIO AL DIVINO DISSIPATORE DELLA PESTE.

ANNO DEL SIGNORE 1649

La chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco e l’adiacente palazzo, che divenne il Convento dei Carmelitani, rientrarono nel vasto programma di sistemazione dell’abitato da parte del Cardinale e divennero proprietà comunale nel 1872: mentre la chiesa venne affidata alle cure delle suore del Preziosissimo Sangue, il Convento iniziò fin da allora ad essere utilizzato come Residenza Municipale.

La commistione tra la famiglia Theodoli ed i Carmelitani appare in tutta la sua evidenza all’interno della chiesa dove è possibile riconoscere sui pulpiti di entrambi i lati, sia lo stemma dei Theodoli – Sacchetti, sorretto da un putto, sia quello del religiosi, sul parapetto. Di recente sottoposta ad un importante intervento di restauro tra il 1999 ed il 2003, che ne ha valorizzato la particolare collocazione e la raffinata bellezza, la chiesa è di pianta ottagonale, sul modello delle chiese ospedaliere realizzate con i lati chiusi o delimitati da colonnati aperti verso le braccia del lazzaretto (Fiorani, 2003). Mario Theodoli morì poco prima che finissero i lavori ed il nipote Carlo raccolse le sue intenzioni facendosi continuatore dei suoi progetti: con lui il Castello assunse la caratteristica forma a nave, per il Convento vennero chiamati, intorno al 1679, i Carmelitani di Roma-Montesanto, che vi rimasero almeno fino al 1870, ed il Borgo venne collegato con l’estremità del paese, luogo in cui sarebbe presto stata demolita la cappella dedicata a San Vito per costruire la nuova Chiesa realizzata, tra il 1725 ed il 1735, su una struttura rurale preesistente.

Ben 5 chiese, con i loro Patroni, elevano il patrimonio storico artistico di San Vito e scandiscono un calendario liturgico ricco di manifestazioni, legate, ciascuna, ad una particolare caratteristica del Santo. Esemplare è la benedizione della gola: un batuffolo di ovatta imbevuto di olio consacrato che simboleggia, il 3 febbraio, la grazia di San Biagio che martire nel 316 d.C. è invocato per i mali della gola. Nella pala d’altare della chiesa a lui dedicata, si riconosce a destra una donna col bambino che invoca il Santo perché guarisca il figlio soffocato da una lisca di pesce. La Chiesa di San Biagio, venne realizzata su un antico oratorio preesistente, datato intorno al 1200 e che fu parte del primo nucleo abitato. La chiesa venne ricostruita ex novo ed ampliata tra il 1607 ed il 1609 per volere dei Theodoli e sul pavimento, a ridosso dell’altare maggiore, è riconoscibile lo stemma del Casato, presente anche nella Chiesa di San Vito sulla sommità dell’altare maggiore e sul portale di Santa Maria de’ arce, sormontato da un timpano spezzato. Quest’ultima chiesa prese il nome dalla sua posizione (arx è rocca, cittadella, altura) ai limiti dell’antica piazza d’armi dei Colonna e da sempre fu legata alla residenza signorile: realizzata per i militari, solo in un secondo momento divenne chiesa parrocchiale. Sul Colle di Compigliano, invece, in una delle antiche zone rurali, il Santuario della Madonnina chiude l’estremità della strada, un tempo contrada di Compigliano, oggi Viale Pietro Baccelli.  Sul colle lo sguardo non può evitare la meraviglia dei paesaggi rurali, da un lato, e, dall’altro, la bellezza del paese a promontorio (De Meo, 2003), che arroccato scoscende e sostiene l’antico palazzo.

Significativa, inoltre, è la distribuzione del pane, simbolo dell’Eucarestia, che avviene il 16 agosto, in memoria di San Rocco, nato in Francia nel 1295 e morto il 16 agosto 1327. Questo recatosi a Piacenza per soccorrere gli ammalati di peste, contrasse il morbo e rifugiatosi in un antro al di fuori della città ebbe ogni giorno un tozzo di pane dal suo cane: entrambi i simboli ricorrono nell’iconografia del Santo e nell’iscrizione a principio del Borgo si legge il riferimento al Divino dissipatore della peste, ragion per cui è probabile che lo sviluppo del primo asse viario e del centro urbano voluto dai Theodoli fosse anche per creare nuovi spazi dopo un’avvenuta pestilenza nel 1630.

San Vito, Patrono del paese, ricorre invece il 15 giugno: posta su un’altura, la chiesa a lui dedicata venne eretta sul luogo di una precedente cappella tra il 1725 ed il 1735.

In uno dei punti più alti ma anche più panoramici, la chiesa del Patrono si può raggiungere dai vicoli risalendo il Borgo e nello scendere dall’altura, verso l’Empolitana, ci si trova davanti alla preziosa edicola della Madonna delle Grazie, in prossimità di Piazza Roma. Questa risale al Cinquecento e rappresenta una delle icone Mariane più care ai sanvitesi, ristrutturata nel 1719 dopo il terremoto del 1702.

Procedendo verso Viale Piave e Viale Giovanni XXIII, sull’Empolitana in direzione Pisoniano, si trova, invece, la Cappelletta della Santissima Trinità, ornata da un prezioso giardino e realizzata nel 1994 dai sanvitesi che non mancano ogni anno di recarsi a piedi al Santuario di Vallepietra.

 

testi a cura di Irene Quaresima, storica del territorio